26.2.06

Ha ragione chi è felice, ho letto da qualche parte, ma non saprei a chi attribuire tale formulazione. Noto che la variante "...chi e' felice ha ragione..." campeggia nel blog di Brezzamarina (che tra l'altro a una prima occhiata mi pare carico della poesia del vivere).

Una perla di saggezza, direi: chi potrebbe contestare un'altrui modalità in grado di connotarsi tanto positivamente? Non è forse per sentirsi bene che si cerca di migliorare, di superare gli ostacoli, di mettersi in ascolto di sé e del mondo? E quando nel sapore di una sequenza musicale, nel ricordo di una sensazione gustativa, nella cattura di una visione cromatica, nella commistione tattile ed elettromagnetica si rinviene l'istante eterno insieme alla capacità di goderne appieno, come si potrebbe pensare di trovarsi in contraddizione con ciò che essere deve?

Ha ragione chi è felice, dunque. Salvo obiezioni.
Una che ho sentito avanzare è che talvolta si è felici a spese degli altri e che allora è meglio essere infelici ma a proprie spese.
Certo, ottenere un risultato a scapito di qualcuno rischia di privarci della pienezza e dunque di pregiudicare la reale possibilità di essere felici. Un punto da tenere presente.

Tuttavia, è opportuno ricordare che anche essere infelici può avvenire a spese degli altri. Perlomeno in due modi: con quello che emaniamo in vibrazioni sottili e con l'esempio che forniamo agli occhi e alla sensibilità di chi ci sta vicino.
Basti pensare alle coppie che stanno insieme esclusivamente "per i figli". In realtà non solo finiranno per trasmettere energie negative con le proprie inevitabili tensioni, ma forniranno un modello di coppia decisamente frustrante per l'immaginario in formazione, andando a influire malamente sulle scelte future di coloro che si intendeva preservare dalla sofferenza.

Al buio bivio delle vie da intraprendere, meglio prediligere quella della felicità*: funzionerà per noi stessi e per gli altri, nel tempo.


* non sembri questa una frase alla Catalano, giacché troppo spesso noi esseri umani scegliamo il protettivo e rassicurante dolore.

17.2.06

Ho una mezza intuizione che la stanchezza derivi in larga misura da conflitti energetici interiori, i quali comportano sprechi rispetto agli sforzi normalmente necessari.
Se pensiamo all'inesauribile vigoria dei bambini, possiamo capire quanto conti essere centrati su di sé e sulla realtà presente per tuffarsi con vorace entusiasmo nel vivere appieno.

Sbloccare gli ingorghi, semplificare, mirare alla nettezza sono azioni risolutive. Compierle tenendo conto del complesso sistema di interrelazioni diventa un po' come giocare a shanghai: occorre la pazienza accorta di spostare un bastoncino alla volta per limitare quanto possibile i danni.

Alcune mosse sono dolorose e se senti una cosa dentro al petto, spostata tra lo sterno e l'altezza delle clavicole, sarà una scheggia di vetro che non è mai stata sputata fuori dal cuore.
Toccare corde profonde può innescare disarmonie e far riemergere nodi, ma solo riattraversando tunnel di pianti deformanti puoi sperare di far risuonare normalmente quelle vocali, nel tuo canto d'essere intero che si ritroverà.

14.2.06

Mi hanno colpito alcune parole riferite da Flounder, novella e benvenuta visitatrice di queste pagine:

la materia è solo la condensazione ultima dell'energia, dei corpi astrali

Oltre ad avere apprezzato la divertente freschezza del suo raccontare, trovo qualche analogia con sensazioni o intuizioni o considerazioni esposte qui su vocenarrante a proposito delle onde elettromagnetiche e dei vortici di luce.

10.2.06

Il destino: anche nell'assecondarlo, occorre quasi sempre muovere un passo e il problema è compiere quel movimento nel momento giusto, quando il semaforo del fato è verde e magari lo rimane per pochi istanti.

(non parliamo poi della difficoltà nel capire la direzione...)