21.3.03

Se oggi si soffre più dell'altro ieri su questo pianeta è perché non siamo in grado di staccarci un momento dall'albero per vedere la foresta.

Noi bipedi con cervello e anima (forse), puntolini nell'universo, piccole ma uniche scintille divine, non abbiamo ancora imparato a guardare alla realtà esteriore come cosa transitoria. Eppure sappiamo, come diceva John Irving concludendo Il mondo secondo Garp, che siamo tutti terminal cases, malati terminali. Perché voler affrettare le cose?
Perché invece non provare a godersi ciò che vediamo e ad esplorare ciò che non si vede ma che quasi sempre regala il piacere più intenso e duraturo? Anche senza entrare nell'ambito mistico, basta pensare alla musica, al sentimento che perdura nel ricordo, alle sensazioni a distanza...

Dimenticare che potenzialmente tutto ciò è alla portata di ogni essere umano, invece, rende possibile ogni nefandezza nei confronti dei nostri simili. I quali perdono la connotazione di persone per diventare altri, estranei, numeri, nemici, caricature, figure da videogame, annientabili da chi ha già annientato la propria anima. E per questo è in grado di ordinare l'ennesima mattanza ammantata di ipocrisia.

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