3.11.04

Sebbene fortunato, molto fortunato, conosco la durezza delle giornate in cui aspetti qualcosa e quel qualcosa non arriva.
Sai che non può arrivare, te lo sei detto e il tuo cervello l'ha accettato.
Eppure in fondo sei lì ad aspettare proprio quella cosa già giudicata (per il momento) impossibile.
L'aspetti perché il bimbo che è in te strepita e non conosce il futuro, tantomeno il futuro anteriore. Conosce solo il qui e ora e se lo lasci fare è capace di divorarti tutti i modi e i tempi verbali lasciandoti con un indicativo nemmeno ben coniugato che ti ferisce e insieme all'angoscia solitaria vuole sbranarti il cuore.

Le giornate o le nottate sono troppo lunghe quando quel qualcosa non ti arriva. Prima di quel momento di solitudine, solitudine che può esistere anche in mezzo a mille mondanità, ti sei ripetuto che devi solo attendere il momento propizio, che quel messaggio o quella voce esiste per te, anche ora che per ragioni contingenti non ti si palesa nelle forme desiderate.
A quel punto, o ti fidi oppure stacchi. Scelta difficile perché ciascuno, per fortuna, momento per momento gode del libero arbitrio. Momento per momento ha il potere, anzi il dovere di scegliere ciò che lo fa stare meglio (o meno peggio).
Però quel bambino tiranno scalciante va anche educato: perfino quel bambino interiore deve imparare a capire che le fonti positive non hanno mai smesso di sgorgare per me. Come gli astri che continuano a brillare dietro la nuvolaglia.


[da un carteggio privato]

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