3.7.03

La prima volta ne ho letto in un romanzo di Kurt Vonnegut, che in Galápagos parlava del blue tunnel of the afterlife. Pensavo fosse un'invenzione letteraria, una bella immagine quella descritta dal protagonista: una galleria celeste (stava in alto e da lì suo padre lo chiamava per accompagnarlo nell'oltrevita) di colore luminosamente blu. Poi però ne sentii riferire da diverse fonti e cominciai a pensare che non si trattasse solo di letteratura. Qui di seguito riporto l'esperienza diretta di un'amica che mi ha gentilmente concesso di pubblicarla su queste pagine.

----- Original Message -----
Non ne sapevo niente, neanche una parola, ma quando, in punto di morte secondo i medici, vidi quella luce luminosissima e calma in un punto del reparto cure intensive, come un sole rotondo che s'ingrandiva piano piano, non ebbi paura. Davanti a me camminava una sagoma scura; vedevo le sue gambe lunghe, le sue braccia con i palmi delle mani ogni tanto poggiati sulla circonferenza di quel sole, del tunnel che entrambi attraversavamo, uno dietro all'altro. Morto il mio uomo, ho sognato piu' volte quella stessa sua sagoma, questa volta in ascesa, come uno spirito di El Greco. Lui c'era gia', eppure non era ancora arrivato, non se n'era ancora andato, ma io lo seguivo.
Volevo arrivare in fondo, godermi quel bel sole che stranamente non scottava; mi sentivo in pace, sapevo che stavo per andarmene, ma non provavo ne' dolore ne' timore. Vidi passare un treno davanti ai miei occhi. A ogni finestrino c'era uno dei miei bimbi. Era come un filmato, un'immagine dopo l'altra; s'arrestavano a una a una per un attimo, e loro mi salutavano con una manina, mestamente, corrucciati ma senza piangere. 'Tesoro, la mamma deve andarsene, fai il bravo e aiuta i tuoi fratelli, aiutali per me, che non potro' piu' farlo, ma vi saro' comunque vicina', dicevo a ognuno di loro, senza accoramento, serena, sorridente.
Me ne andavo, calma, tranquilla, assopita. Come un rullino, la mia vita si srotolo' velocissimamente, tanto che non riuscivo a cogliere nulla; il rullino s'arresto' di colpo e ne venne fuori una sola scena, c'ero io che licenziavo una domestica. Ero stata ingiusta con quella povera ragazza, ma in quei miei 37 anni il giudice non aveva trovato null'altro. Dissi 'grazie', quasi stupita dalla benevolenza e chiusi gli occhi afflosciando la testa sul guanciale.
D'un tratto udii un rantolo roco. Qualcuno stava morendo, ma stavo morendo anch'io, in silenzio. Di nuovo il rantolo, profondo, piu' forte, una specie di 'Nooooo' gutturale, come il verso della civetta che spesso avevo sentito in tenuta. Non era voce umana, bensi' un'eco che cercava disperatamente di farmi arrivare quel 'no, no, no'.
Guardai in alto il capezzale, chiamai l'infermiera, le domandai cosa c'era dietro al mio letto, niente, il muro. E la voce? Quale voce...?
Mi riassopii, lasciandomi andare in un mare di dolcezza, come l'altra volta, quando mi ero dissanguata per un aborto spontaneo, ma quel 'no' riprese, piu' chiaro, piu' disperato. Sbarrai gli occhi. Era mio padre, morto nell'incidente, che non voleva farmi attraversare il tunnel, era la sua voce, denaturalizzata, ma piena della sua forza.
'Signore', dissi con un'umilta' mai provata 'non mi ribello, Tu lo sai, mi ero gia' rassegnata, ma ora no, a mio padre questo non glielo possiamo fare, non possiamo fargli credere di avere ucciso me. Abbiamo comunque un appuntamento in futuro e Tu hai anche tanta pazienza, ma ora no'.
Il medico si accosto' al letto, 'domani devo farti un buco nella pancia', disse puntandomi un dito sull'ombelico, 'una laparatomia?', '...???', 'e invece no', 'devo...', l'ematocrito e' sceso da 42 a 19, ho perso tre litri e mezzo di sangue...', 'sei medico?', 'no, sono interprete e so che se mi mandi in sala operatoria in queste condizioni rischio la vita, Vicente, perche' ti chiami Vicente, vero?', 'si'..., ma il femore e' entrato in addome e puo' aver interessato i visceri, c'e' anche quel rischio, il tuo intestino e' paralizzato', 'cosa devo provare?', 'voglia di defecare', 'dammi ventiquattr'ore, per te e' lo stesso farmi morire domani o lasciarmi morire dopodomani, no?'. Il medico si allontano', visibilmente scosso. Aveva fatto appena dieci metri a capo chino con le mani nelle tasche del camice, 'Vicente!!!', si volto' sorpreso. 'Fammi portare la padella...'. Era fatta.
Per una decina di giorni sentii intorno al letto un fruscio di ali, come tante colombe che volassero dietro al mio capezzale, dapprima talmente nitido che ogni tanto mi pareva di sentire pure qualche folatina d'aria, poi man mano sempre piu' fievole. In quei dieci giorni riuscivo a vedere cio' che stava accadendo a casa dei miei, tutte le angherie pensate da mio fratello, come fossi presente, poi, tornate a poco a poco le forze, quindi la vita, persi questa facolta' e non vidi piu' nulla.
Per anni me lo sono tenuto dentro, finche' un giorno un'amica mi spedi' un libro in omaggio. Raccontava di casi simili al mio. Singhiozzai fino all'alba e finalmente mi sentii libera di parlarne, senza piu' temere di essere presa per pazza.

Nessun commento: